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Girovagando nel Parco del Monte Avic
Quando: 29-30 luglio 2012
Chi c’era: Luca, Andreis
Percorso: Chapy – Lago de Ratè – Colle della Gran Rossa – Gran Rossa – Gran Lago – Lago des Heures – Punta Mezdove (2827 m)– Monte Iverta (2839 m)– Monte Belplà (2829 m)– Gran Lago – Lago Cornuto – Lago Bianco – Lago Nero – Rifugio Barbustel – Lago Vallet – Colle Lago Bianco – Monte Torretta (2539 m)– Lago Vernoille – Chapy
Ci sono circostante propizie a “grandi salite” ed altre (ahimè più frequenti) nelle quali occorre accontentarsi. Domenica e lunedì scorsi facevano parte di quest’ultime. La cara e piovosa Lombardia era necessariamente da scartare, il proseguimento dell’esplorazione della sorprendente Ossola non era propriamente indicata, pure lo sconfinamento in terra Svizzera pareva sconsigliato. Il sole, in pratica, sembrava voler splendere unicamente sulla bassa Val d’Aosta. Si può quindi facilmente comprendere perchè la scelta ricadde sulla zona del parco del monte Avic, nella valle di Champdepraz (destra orografica della Vallèe). Fatti quattro calcoli, consultati alcuni stralci di cartina, “estorte” alcune informazioni qua e là, ci ritroviamo sulla sconnessa strada per Dondena pronti a seguire l’itinerario prefissato, ma altresì preparati a cambiare idea col corso degli eventi. Ci avviamo lungo una mulattiera, con l’intenzione di raggiungere quello che chiamano il Gran Lago, sebbene le uniche indicazioni presenti segnalino il lago de Ratè, che peraltro non figura nello schizzo di mappa che ci portiamo in tasca.
Lo scenario è quello della tipica tarda mattinata estiva: afa, foschia, nuvolacce, verde scialbo e anonimo. Occorrerà faticosamente salire per sperare nel cambiamento. Raggiunto il lago de Ratè, tutto sommato apprezzabile, risulta evidente che per seguire il nostro spannometrico programma dovremo mproseguire letteralmente a naso verso quello che potrebbe essere il colle della Gran Rossa, porta di accesso sud-occidentale al parco. Gravati dal peso della tenda, seguiamo a testa bassa gli sporadici ometti presenti. Una precaria pietraia si alterna a terriccio e rare zolle erbose, il tentativo di minimizzare gli sforzi evitando tutto quel che si muove risulta vano. Con caparbietà raggiungiamo il colle che regala qualche discreto scorcio sulla zona del Gran Lago, l’adiacente monte Glacier, il lontano monte Avic. Abbandonata in cuor nostro l’idea di raggiungere la montagna che dà nome al parco, abbandonati gli zaini, abbandonato un po’ tutto quanto, facciamo una rapida sgambata su quella che dovrebbe essere la grigia cima della Gran Rossa.
Urge aprire una parentesi: tutti i toponimi qui enunciati sono da prendere col beneficio del dubbio, dal momento che mutano da carta a carta. Lungi poi dal pensare che in loco ci sia qualche riferimento a nomi o segnalazione dei luoghi fuori dall’unico tracciato iperfrequentato. Chiusa parentesi.
Qualsiasi escursionista ragionevole si sarebbe fermato qui, avrebbe scattato le sue belle fotine e se ne sarebbe tornato indietro gaio e appagato. Non è così per noi che apparteniamo alla razza di quelli che vogliono farsi del male a tutti i costi. Nuovamente ricurvi sotto il peso dello zaino, ci buttiamo a capofitto sul marcissimo versante settentrionale della valletta, costellato di instabili piode e infidi, profondi buchi, con l’intento di raggiungere la sponda del Gran Lago, laddove potremo con più calma riprogrammare il resto della giornata.
Con attenzione ed estrema fiducia nella coordinazione propriocettiva caviglie-cervello, ci caliamo fino a lambire le scure acque del Gran Lago. Con un ampio semicerchio ne costeggiamo la sponda e, ritrovato il sentiero, lo seguiamo fino ad un successivo laghetto senza nome. Ci piace: pranziamo all’ora della merenda e montiamo la tenda. E comunque, pur di toglierci di dosso quel dolce peso, ce lo saremmo fatto piacere.
Con maggiore libertà ci incamminiamo ora in direzione del lago Gelato. Facciamo giusto un pensiero all’Avic, accontentarsi rinunciandovi a priori? Non sia mai!
Superiamo un gruppetto di disorientati escursionisti ritardatari, talmente confusi da contagiarci. Nel bel mezzo del collettivo stato confusionale, abbiamo ugualmente modo di ammirare il lac des Heures che, come un globo oculare infisso nel terreno, sembra fissarci cambiando inclinazione di sguardo ad ogni nostro passo. Lo scenario è ora più coinvolgente, i colori, ravvivati anche dalla luce serale, sono intensi e molteplici. Pare uno scorcio di Islanda.
Presi da uno slancio di avidità, saliamo un trittico di cime nei dintorni: la quasi anonima punta Mezodve, il panettone Iverta (sfasciumi immondi al posto di uvetta e canditi), l’allungato Belplà. E un quarto picco. Ciascuno ha un piccolo grande panorama da donarci. Con la vana gloria dei conquistatori di cime marginali, ritorniamo sui nostri passi fino al pianoro sul quale campeggia, paziente, la nostra tendina, già ampiamente coccolata dalle ombre.
La conca, dominata dall’austero monte Glacier, è preda dell’oscurità e del freddo, nulla possono le pur alte montagne: ad una ad una capitolano anch’esse sotto i puntuali colpi della notte. Otto ore di buio e fresco, stelle e sogni, silenzio e sonno.
Poi l’alba.
Aprire la cerniera della tenda è un rito che andrebbe eseguito con una certa devozione. Troppo spesso capita invece che mi lasci prendere dalla fretta e lo compia con superficialità, quella di chi è ancora mezzo addormentato. Veniamo colti impreparati dall’impeto di una luce calda: in men che non si dica la tenda ne è inondata; l’uscita dal saccoapelo è resa meno traumatica. Il programma odierno di massima prevede la discesa verso il cuore del parco ed i quattro laghi che, da soli, dovrebbero valere l’intera escursione. Soprattutto in una giornata tersa come promette essere quella di oggi.
Al comodo sentiero preferiamo ancora una volta il tracciato di una linea immaginaria che, ad intuito, lambisca pozze e torbiere delle quali è ricca la zona. Incontriamo un primo specchio d’acqua che ci costringe ad una risalita, la seconda offre un bel riflesso per il monte Glacier, una terza è interessante spunto fotografico, alla quarta diciamo “basta”. Ci abbassiamo allora più decisamente per canali e insenature finché, attraversato il torrente, riguadagniamo la traccia bollata.
Il sentiero, costituendo la direttrice principale del parco, è estremamente battuto. Non passa molto che incrociamo i primi gitanti mattinieri. L’espressione dei loro volti è eloquente: stiamo andando controcorrente. Scelta che si rivelerà felice allorquando, terminata la processione di escursionisti, rimarremo liberi di goderci lo splendore dei laghi. Col diminuire della quota, fa la comparsa un rado bosco di conifere, piuttosto inusuale per gli standard ai quali siamo abituati.
Al verde dei larici e all’arancione delle solide rocce tutto intorno, si accompagna ora il blu profondo del laghi Cornuto e Nero. Ma la vera celebrità è il lago Bianco che, grazie alla sua invidiabile posizione, regala vedute di pregio, incorniciate dal bosco e impreziosite dai giganti valdostani in lontananza. Lo spettacolo è notevole, le acque cristalline sono una calamita per gli occhi e per l’obiettivo della fotocamera. Impossibile non appropinquarsi ricercando le inquadrature migliori per poi scoprire che la più bella visione di insieme si ha tra quei sassi lassù. Infine il meritato riposo, sul grande sasso, al sole. Chiudo gli occhi. Una leggera brezza muove le fronde mimando il rumore delle onde, il lago si trasforma in un esotico mare, la stanchezza svanisce, la mente è libera di fantasticare.
Siccome dopo un po’ anche l’ozio stanca, ci rimettiamo in marcia, esausti. Ci imbattiamo nel rifugio; facciamo appena in tempo a leggerne il nome “Bar..bu..stel” che già gli siamo lontani, ammaliati dal lago Vallet, altra azzurrissima perla incastonata tra i larici. Proseguiamo poi alla volta del colle di Lac Blanc sopra il quale svetta l’ardito profilo della Torretta: duecentocinquanta metri semiverticali di sfasciume doc. Dalla sommità è istruttivo il colpo d’occhio che si ha sulla zona dei laghi e sulle cime lambite ieri. Ridiscesi con attenzione, ci dirigiamo per evidente sentiero verso il lago Vernoille, divallando infine nel vallone da dove ieri era incominciato, con qualche trascurabile punto di domanda, il nostro inedito giro.
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